Bagni, lidi e stabilimenti balneari (foto storiche)
Nell’ottocento il bagno – sia pure casalingo ed a fine igienico – era considerato come qualcosa di peccaminoso e comunque da evitare. Soltanto verso la fine del secolo erano apparse nelle case delle famiglie borghesi tinozze, baganrole, e semicupi ma il bagno era più giustificato dalla terapeutica che dall’igiene. Anche i primi stabilimenti pubblici che erano sorti in città si fregiavano di insegne che, più o meno direttamente, si ricollegavano alla medicina. C’erano infatti quelli minerali dei fratelli Pandolfo all’Acquasanta dove scaturiva un’acqua purgativa che, riscaldata, serviva anche per le abluzioni; quelli “idroterapici” come il bagno di Nettuno in vicolo Paternò e il locale Alla Stella in via Quattro Aprile; e c’erano perfino i “bagni di luce elettrica” come apprendiamo da una guida della città del 1902.
In quel tempo si avviavano a divenire di moda anche i bagni di mare. Sin dall’inizio del secolo infatti erano già sorti a Romagnolo gli stabilimenti di Virzì, dei fratelli Petrucci e di Emilio Pirandello, a S. Erasmo ed al Sammuzzo quelli di Franco Carini; nella via del Borgo era stato impiantato lo stabilimento dei Fratelli Messina ed all’Acquasanta quello dei Tramontana. Si può ben dire che non c’era tratto della costa compresa tra le borgate di Romagnolo e dell’Acquasanta che non fosse utilizzato per i bagni di mare. Perfino nello specchio d’acqua antistante la passeggiata della Marina sorgevano alcuni stabilimenti. In realtà bisogna pur dire che la configurazione dello stabilimento balneare di allora era ben diversa da quella di oggi. Differente era il modo di vivere di quell’epoca ed esso in conseguenzam condizionava in maniera evidente anche le attrezzature balneari.
Anche se i palermitani avevano già superato i pregiudizi circa la peccamenosità dei bagni, rimanevano a dettar legge il pudore e la innata ritrosia delle nostre nonne.
Tutto ciò comportava una netta divisione tra i reparti maschile e femminile ma anche la chiusura ermetica dei costumi da bagno femminili che, simili, a camice da notte, ben poco facevano scorgere delle effettive forme di chi li indossava.
E, come se questo non bastasse, c’era anche l’usanza che le donne si immergessero nel mare dentro uno stanzino chiuso da ogni lato sino a un metro al di sotto del pelo dell’acqua. Esisteva in ogni stabilimento anche il cosdiddetto “salone” formato da un grande specchio d’acqua coperto e delimitato sui quattro lati dagli stanzini, ma anche qui la divisione dei sessi era rigorosissima. In queste minipiscine in scatola i nostri nonni si bagnavano in un mare pulito, iodato, al fine di ritemperare il corpo per meglio affrontare l’inverno successivo. Il bagno era considerato una cura, lungi da ogni esibizionismo e mondanità.
Rosario la Duca, 22 giugno del 1971, Giornale di Sicilia
Con la fine della Belle Epoque e l’emergere del nuovo ceto cittadino urbano, anche nel capoluogo isolano si assistette ad una generale massificazione degli usi e dei costumi sociali che non risparmiò nemmeno le pratiche più tradizionali. A partire dal primo ventennio del 900 lo spostamento delle località balneari e la frequentazione degli stabilimenti cominciarono a essere legati anche a momenti diversi della balneazione. Lo stabilimento divenne punto di incontro dove consumare i mutati rituali borghesi, e luogo nel quale era possibile fare il bagno, prendere il sole, praticare sport acquatici, assistere ai primi incontri di boxe e , a sera, sotto una moltitudine di lampade di carta colorata, location per feste e serate danzanti al ritmo di boogie woogie. (…) Le spiagge più in voga erano ormai quelle di Mondello e dell’Acquasanta dove, come si legge in una guida di Palermo del 1924 “sotto la strada, sull’arena del lido, si costruisce ogni estate un ottimo stabilimento balneare, frequentato da molte famiglie per bene della borghesia e con accanto un discreto restaurant”.
Il passaggio dal vecchio al nuovo secolo si fece sentire soprattutto in alcune zone della città dove iniziarono a scomparire alcuni degli stabilimenti storici e altri superstiti divennero luogo di avvicendamento del ceto medio-borghese prima e poi, a partire dagli anni ’30-40 del secolo scorso, di quello più popolare.
Tratto da Adriana Chirco e Dario Lo Dico, In tempo di bagni, Palermo, Kalos, 2007
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